Published On: Sab, Mag 23rd, 2020

Esopianeti ad alta risoluzione

Albert Einstein oltre un secolo fa predisse che la gravità aveva il potere di distorcere e ingrandire la luce: un fenomeno oggi noto come lente gravitazionale. Affinché un osservatore possa vederlo è necessario che si trovi nel punto giusto, detto punto focale.

Ora, sfruttando questa scoperta, un gruppo di ricercatori si è posto l’obiettivo di raggiungere il punto focale per osservare un esopianeta posto a 100 anni luce di distanza. Un’ipotesi da fantascienza, dal momento che per raggiungere tale punto un’eventuale sonda spaziale dovrebbe percorrere 97 miliardi di chilometri, ossia 16 volte la distanza che ci separa da Plutone. Comprendere la difficoltà di tale missione non è difficile: basti pensare che la sonda Voyager 1, ormai alla periferia del nostro sistema solare, ha impiegato 40 anni per percorrere 1/5 di quella distanza.

Come fare, quindi, per ovviare e arrivarci più velocemente? Gli scienziati hanno pensato anche a questo e la risposta è…l’astronave a vela solare, anzi, una flotta intera. Il progetto, chiamato Solar Gravity Lens (SGL) catturerebbe lo slancio della luce del Sole per utilizzarla come propulsione. Utilizzando questa tecnologia, un veicolo spaziale volerebbe vicino al Sole, aumenterebbe la sua velocità e si lancerebbe verso i confini esterni del nostro sistema solare, impiegando soltanto 25 anni per percorrere la stessa distanza, utilizzando sonde piccole e resistenti che riducano i costi di lancio.

Un progetto ambizioso che permetterebbe di scattare le immagini di un esopianeta a quella distanza con una risoluzione di soli 10 chilometri. Come detto, si tratta di un progetto di non facile realizzazione. Innanzitutto ci sarebbe il problema delle comunicazioni a lunga distanza, per non parlare della necessità di installare un parasole per impedire alla luce del Sole di disturbare le immagini; infine, la sonda necessiterebbe di un coronografo per bloccare la luce della stella facente parte del sistema solare “alieno”.
Eppure la NASA, che certamente non si arrende alle prime difficoltà, ha stanziato 2 milioni di dollari per il programma NIAC (NASA Innovative Advanced Concepts) del 1998, il cui sforzo cooperativo comprende numerosi ricercatori del JPL e diverse università, tra cui l’UCLA, l’Università dell’Arizona e la Wesleyan University.

In questo momento si tratta di una sfida impossibile. Nonostante i grandi telescopi terrestri e spaziali, le enormi distanze che ci separano dagli esopianeti non ci permettono che osservare un puntino luminoso che si staglia nel fondo cielo. E con l’avvento dei moderni telescopi spaziali la questione non cambierà. Per osservare dei dettagli sulle loro superfici, servirebbe un telescopio di 90 chilometri. Insomma, qualcosa di veramente inconcepibile per la scienza attuale.

Per il momento dovremo accontentarci di osservare nubi, vulcani, anelli e meraviglie dei pianeti del nostro sistema solare. In attesa che l’uomo compia un altro grande passo per l’umanità.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it