Published On: Mar, Giu 23rd, 2020

La pandemia e l’impatto umano sulla fauna selvatica

In un articolo pubblicato su Nature Ecology & Evolution, i leader di una nuova iniziativa globale spiegano come la ricerca durante questa devastante crisi sanitaria possa ispirare strategie innovative per condividere lo spazio su questo pianeta sempre più affollato, con benefici sia per la fauna che per l’uomo.

Molti paesi in tutto il mondo hanno adottato il distanziamento sociale per controllare la diffusione di COVID-19. Nato dalle circostanze più tragiche, questo periodo può fornire preziose informazioni sulle interazioni uomo-natura. Negli ultimi mesi ci sono stati innumerevoli post sui social media che hanno segnalato insoliti incontri con animali nelle aree popolate. Osservazioni aneddotiche, in particolare delle aree metropolitane, suggeriscono che la natura ha reagito al blocco. Non solo sembrano esserci più animali del solito, ma si sono verificate delle visite sorprendenti in aree insolite: sono stati avvistati puma aggirarsi per le strade del centro di Santiago, in Cile, e recentemente i delfini si sono presentati in acque atipicamente calme nel porto di Trieste.

Per altre specie la pandemia potrebbe aver creato nuove sfide. Ad esempio, alcuni animali come gabbiani, ratti o scimmie, potrebbero avere difficoltà senza accesso al cibo che gli fornisce l’uomo. In aree più remote, la ridotta presenza umana può potenzialmente mettere a rischio le specie in via di estinzione, come rinoceronti o rapaci, a rischio bracconaggio.

Gli autori sottolineano che la priorità della società deve essere quella di affrontare l’immensa tragedia umana e le difficoltà causate da COVID-19, ma senza perdere l’opportunità di tracciare, per la prima volta su scala veramente globale, la misura in cui la moderna mobilità umana influisce sulla fauna
selvatica.

Per rispondere a questa sfida, i ricercatori hanno recentemente costituito la “COVID-19 Bio-Liative Initiative“. Questo consorzio internazionale esaminerà i movimenti, il comportamento e i livelli di stress degli animali, prima, durante e dopo il blocco COVID-19, utilizzando i dati raccolti con dispositivi
elettronici sugli animali.

L’autore principale dell’articolo, il professor Christian Rutz, biologo dell’Università di St Andrews, nel Regno Unito, e presidente della International Bio-Logging Society, spiega: “In tutto il mondo, i biologi hanno dotato gli animali di dispositivi di localizzazione – essi forniscono una miniera d’oro di informazioni sul movimento e sul loro comportamento, che ora possiamo sfruttare per migliorare la nostra comprensione delle interazioni uomo-fauna selvatica, con vantaggi per tutti “.

Il team integrerà i risultati di un’ampia varietà di animali, tra cui pesci, uccelli e mammiferi, nel tentativo di creare un quadro globale degli effetti di blocco.

Quindi, cosa sperano di imparare gli scienziati? “Saremo in grado di indagare se i movimenti degli animali nei paesaggi sono principalmente interessati dalle strutture costruite o dalla presenza di esseri umani“.

Queste intuizioni ispireranno a loro volta proposte innovative per migliorare la coesistenza uomo-fauna selvatica, secondo il professor Martin Wikelski, direttore del Max Planck Institute. “Nessuno sta chiedendo che gli umani rimangano bloccati permanentemente. Ma potremmo scoprire che cambiamenti relativamente minori nei nostri stili di vita e nelle nostre reti di trasporto, potrebbero potenzialmente avere benefici significativi sia per gli ecosistemi che per gli umani“.

La ricerca globale sulla fauna selvatica durante questo periodo di crisi offrirà l’opportunità imprevista di creare una convivenza reciprocamente vantaggiosa con altre specie e di riscoprire quanto sia importante un ambiente sano per il nostro benessere.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it