Published On: Sab, Nov 21st, 2020

Il monte Everest, la discarica più alta del mondo

In una recente spedizione targata National Geographic e Rolex Perpetual Planet Everest Expedition sul monte Everest, i ricercatori hanno trovato prove di inquinamento da microplastiche sino a 8840 metri s.l.m. Da oggi sappiamo, pertanto, che il problema affligge il nostro pianeta dalla cima più elevata alle profondità oceaniche.

Le microplastiche rappresentano una grande minaccia ecologica perché sono difficili da ripulire e possono essere ingerite dagli animali. Sino ad ora ne era chiara la presenza nei nostri mari, ma gli studi sulla terraferma, specie su monti così remoti non sono molto diffusi. La spedizione ha permesso di trovare una concentrazione molto alta nei pressi del campo base, dove solitamente gli escursionisti si accampano prima del viaggio finale che li porterà in vetta; ma era presente in ogni campione di neve analizzato anche alle alte quote.

Secondo gli scienziati, la principale fonte di inquinamento trovata sul monte Everest è dovuta all’abbigliamento outdoor e agli attrezzi da scalata utilizzati dagli arrampicatori.

Ora, la sfida è cercare di ripulire questo luogo che all’apparenza sembra incontaminato. Un lavoro non facile a cui si aggiungono le difficoltà legate alle condizioni meteorologiche. Non è raro, infatti, imbattersi in temperature ampiamente sottozero, visibilità ridotta, venti intensi e difficoltà di respirazione dovuta alla rarefazione dell’aria.

Ideale, secondo i ricercatori, sarebbe ideale concentrarsi su soluzioni tecnologiche incentrate in un nuovo design dei tessuti, incorporare fibre naturali e prendere consapevolezza che questo tipo di inquinamento non coinvolge soltanto l’oceano. E’ giunto il momento di concentrarsi su soluzioni ambientali appropriate per proteggere il nostro pianeta.

I risultati appaiono sulla rivista One Earth.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it