Published On: Mar, Nov 17th, 2020

Duecento anni fa la scoperta dell’Antartide diede il via al massacro di foche e leoni marini

Il 17 Novembre 1820 il capitano della nave del Connecticut Nathaniel Palmer, un cacciatore di foche, avvistò probabilmente per primo il continente antartico. Pensò alle opportunità economiche che avrebbe potuto fruttargli e diede vita all’uccisione metodica, in collaborazione con altre navi inglesi e statunitensi, di foche e leoni marini.

UN VERO MASSACRO – In breve tempo le popolazioni di tali splendidi esemplari si ridussero quasi all’estinzione, sino agli anni ’60, quando emersero alternative di altri materiali (come la plastica) alla pelliccia e al grasso, utilizzati rispettivamente per l’abbigliamento e la conversione in petrolio tra Usa e Cina a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.
Furono sterminate almeno 7 milioni di foche tra l’Antartico e il Subantartico e già nel 1829 il naturalista britannico James Eights lamentava la perdita della foca.

Le immagini strazianti provenienti da quelle aree scandalizzarono i cittadini nord americani e gli europei, tanto da creare un rapido cambiamento nei modi di pensare. Nel 1972, a tale scopo, venne firmata la convenzione per la conservazione delle foche antartiche, garantendo il ripopolamento della specie che oggi vanta 5 milioni di esemplari nella sola Georgia meridionale. Ne hanno beneficiato anche gli elefanti marini, che già a metà degli anni ’90 si ripopolarono in almeno 650.000 esemplari.

Nei due secoli successivi l’Antartide ha visto una serie di sviluppi commerciali, scientifici e diplomatici ed è oggi governata attraverso il sistema di amministrazione internazionale dell’Antartide. Sebbene il trattato affermi di governare l’Antartide nell’interesse di tutta “l’umanità”, alcuni paesi hanno ottenuto maggiori benefici dalla regione rispetto ad altri.

LA CACCIA ALLE BALENE  – Ad oggi è vietata anche la caccia alle balene, un tempo organizzata da flotte norvegesi, britanniche, tedesche, russe, olandesi e giapponesi. Anche in questo caso si è rivista una pratica spietata che portò le balene sull’orlo dell’estinzione. Nel XIX secolo l’olio raccolto veniva usato principalmente come combustibile per le lampade. Ma dopo il 1910 furono trovati nuovi usi, come lubrificanti industriali e grassi commestibili. La caccia alle balene divenne estremamente redditizia per un piccolo gruppo di società. Inizialmente gli esemplari venivano trattati nelle stazioni di terra, ma visto il cattivo odore nei pressi della costa e le acque colorate del loro sangue, si decise di organizzarsi con un trattamento più efficiente sulle baleniere, le navi officina. Fu soltanto nel 1946 che cominciarono i primi sforzi internazionali per la protezione di questi splendidi animali, ma come per le foche, una svolta si ebbe negli anni ’60 grazie agli ambientalisti.

ATTIVITA’ MODERNA – Ad oggi lo sfruttamento della vita marina dell’Antartide continua con un piccolo crostaceo simile ad un gambero: il Krill. Viene utilizzato negli integratori alimentari e negli alimenti per animali domestici. Norvegia, Cina, Corea del Sud e Cile sono i suoi maggiori raccoglitori.

Dal 1982, la Commissione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartico gestisce queste attività di pesca con l’obiettivo principale di mantenere l’intero ecosistema. Balene, foche, uccelli e altri pesci si affidano al krill, rendendoli essenziali per l’ecosistema marino antartico.

Attualmente solo un piccolo numero di persone trae profitto dalla vita animale di questi luoghi immacolati, già minacciati dal pericolo del riscaldamento globale. Le popolazioni di balene e foche continuano a riprendersi dal sovra-sfruttamento passato, ma gli impatti futuri delle attuali pratiche di pesca e dei cambiamenti climatici restano alquanto incerti.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it