Published On: Sab, Ott 22nd, 2022

Il segreto delle fioriture nel deserto di Atacama, il luogo più arido del mondo

Il deserto di Atacama, che si estende per circa 1.600 km lungo la costa occidentale del cono del Sud America, è il luogo più arido della Terra. Alcune stazioni meteorologiche non hanno mai registrato precipitazioni, ma è tutt’altro che sterile: qui vivono molte specie che non si trovano altrove, adattate alle condizioni estreme.
E all’incirca ogni 5-10 anni, da settembre a metà novembre, l’Atacama ospita uno dei luoghi più spettacolari del mondo naturale: il “deserto fiorito“. Tali fioriture, una delle quali è attualmente in corso nell’area settentrionale dopo abbondanti piogge all’inizio di quest’anno, attirano l’attenzione dei media da tutto il mondo.

Ma quali meccanismi fisiologici ed evolutivi consentono la grande diversità di colori, forme e modelli visivi? E come fanno gli impollinatori – principalmente imenotteri come vespe solitarie e api – a beneficio dei quali si è evoluta questa stravaganza visiva, a percepire tutta questa variazione? E’ l’argomento di un nuovo studio pubblicato in Frontiers in Ecology and Evolution, il cui obiettivo è quello di far luce sui meccanismi ecologici ed evolutivi che causano la diversità biologica in ambienti estremi come il deserto di Atacama.

LO STUDIO

I ricercatori hanno studiato un evento di deserto fiorito alla fine del 2021 vicino alla città di Caldera, nel nord del Cile. Nonostante fosse di dimensioni inferiori rispetto all’evento in corso, era chiaramente visibile ai satelliti.

Una specie dominante era C. longiscapa (famiglia Montiaceae), una pianta alta fino a 20 cm, che fioriva in due macchie distinte larghe decine di chilometri. Queste macchie consistevano, per gli occhi umani, in fiori viola e gialli in modo uniforme. Tra di essi sono stati individuati numerosi fiori intermedi (cioè rossastri, rosati e bianchi) della stessa specie, suggerendo fortemente che i morph viola e giallo sono varianti ereditarie che possono incrociarsi.

Gli insetti, con i loro occhi composti e le diverse sensibilità, vedono il mondo in modo molto diverso da noi. Ad esempio, la maggior parte degli imenotteri ha tre tipi di fotorecettori, che sono massimamente sensibili ai raggi UV, blu e verde.

Martinez-Harms et al. ha quindi utilizzato telecamere sensibili alla luce visibile e ai raggi UV, oltre a spettrometri per misurare la riflessione, l’assorbimento e la trasmissione di diverse lunghezze d’onda da parte dei petali, per un totale di 110 fiori. Ciò ha consentito loro di produrre immagini composite di queste varianti viste dalle numerose specie di impollinatori.

DIVERSITA’ NASCOSTA AGLI OCCHI UMANI

I risultati mostrano che proprio all’interno di questa singola specie vegetale, la diversità percepibile dagli impollinatori era maggiore rispetto a quella percepibile dall’occhio umano.
Questa diversità visiva è probabilmente dovuta alle differenze tra le betalaine: pigmenti gialli, arancioni e viola che sono un tratto tipico dell’ordine vegetale a cui appartengono le zampette. Le betalaine non solo danno colore ai fiori: proteggono anche dalla siccità, dallo stress salino e dai danni dei radicali reattivi dell’ossigeno sotto stress ambientale, caratteristiche altamente benefiche nei deserti.

Gli autori hanno ipotizzato che la diversità osservata all’interno dei fiori sia guidata da differenze nella sensibilità e preferenza per colori e motivi diversi in molte specie di impollinatori: un esperimento evolutivo in corso, che per lo più sfugge alla nostra vista.

Nei prossimi studi, gli scienziati indagheranno ulteriormente l’identità chimica e le vie di sintesi biologica delle betalaine e di altri pigmenti floreali, nonché la loro relazione con tratti come i profumi prodotti dai fiori. Questo dovrebbe aiutare a capire il ruolo nelle interazioni tra le piante e i loro impollinatori e nella tolleranza delle piante ai fattori di stress biotici e abiotici in condizioni climatiche fluttuanti.

Credit: Valparaíso (Cile), Wikimedia Commons

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it