Published On: Lun, Mar 22nd, 2021

Sulle tracce di Ilaria Alpi e dei rifiuti tossici

Il 20 marzo 1994, in un agguato a Mogadiscio, perdevano la vita la giornalista Rai Ilaria Alpi e il cameramen triestino Miran Hrovatin. I due reporter si trovavano in Somalia per delle interviste in un paese lacerato dalla guerra civile. Ilaria e Miran, inviati del Tg3, stavano lavorando su diversi filoni di movimenti illeciti fra Europa e Africa.

La Somalia, che ancora oggi non trova pace, era un paese allo sbando in quegli anni e neppure le missioni dell’ONU erano riuscite a risolvere le questioni fra le diverse fazioni in guerra. Ilaria e Miran erano lì per raccontarci cosa avveniva e per farci capire che forse questa guerra, all’apparenza così lontana, aveva anche delle propaggini in Europa.

Guerra Civile in Somalia (Credit World Enciclopedia)

Sul caso Alpi si sono svolte decine di indagini, seppur tardive, ma ad oggi non c’è ancora una verità che ci dica perché siano stati uccisi i due reporter italiani.  Ci sono troppi misteri, silenzi e depistaggi e diversi oggetti, come cassette e appunti, sono spariti nel nulla. Si è pensato anche ad un omicidio casuale o ad un rapimento, cosa non rara nel caos di una guerra, ma troppi indizi portano ad un vero e proprio omicidio premeditato.

Forse Ilaria aveva scoperto dei traffici illeciti di armi e rifiuti tossici, che dall’Italia, approfittando del caos in Somalia, approdavano nel paese del corno d’Africa. C’era probabilmente molto materiale “scottante” che sarebbe stato a breve pubblicato, ma qualcuno non ha voluto che ciò avvenisse. Le prove dei rifiuti tossici sono oggi evidenti, sono stati trovati bidoni spiaggiati, si sono registrate morie di pesce, si registrano malformazioni e sono triplicate le malattie cancerogene. Probabilmente le cosiddette navi dei veleni sono state affondate oppure il loro carico è stato gettato al largo delle coste somale occultando e smaltendo in questo modo scellerato i rifiuti. Ci sono anche prove di container seppelliti nel calcestruzzo durante la realizzazione di infrastrutture nel paese africano. Insomma, oggi, abbiamo la certezza che la Somalia era diventata una discarica.

Smaltire rifiuti tossici e speciali in Europa è costoso e per qualcuno conveniva spedirli in Africa dove con pochi euro si arricchivano pochi faccendieri, ma si avvelenava un paese. Inoltre con il caos della guerra il tutto era più facile e i controlli ,ovviamente inesistenti, come lo erano le autorità di un paese che di fatto non c’è. Fra le tante anomalie Ilaria scoprì navi che facevano la spola fra Italia e Somalia, che ufficialmente era navi da pesca, ma il pesce li sopra non saliva. Tanti elementi che la giovane reporter italiana stava scoprendo e che purtroppo non ha potuto raccontare.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Credit liberainformazione)

Ilaria e Miran sono ricordati per il loro prezioso lavoro da giornalisti di inchiesta, ma di fatto vanno anche ricordati per il loro contributo nel campo ambientale e sanitario. Negli anni ’90 ancora questi temi non erano così all’attenzione del pubblico come lo sono oggi, ma già allora erano un grave problema sia per l’ambiente che per la salute pubblica. Vogliamo dunque ricordare questi due ragazzi anche per questo, purtroppo più passa il tempo e più sarà difficile scoprire la verità, ma noi abbiamo il dovere di non dimenticare cercando di fare luce su questi fatti. 

Forse le colpe dell’uccisione di Ilaria e Miran non vanno ricercate solo in Somalia, ma anche in Italia e quando l’Africa ci sembra lontana, non dimentichiamoci che laggiù abbiamo seppellito un sacco di rifiuti e causato direttamente e indirettamente morte e devastazione ambientale. Riflettiamoci su e ricordiamoci che i problemi dell’Africa sono anche i nostri.

Vi proponiamo l’ultima intervista di Ilaria Alpi ad un faccendiere somalo. Si parla di navi. Dopo questa intervista Ilaria e Miran verranno uccisi.


Fonti Consultate: Archivio Rai, WikiSource, Open

About the Author

- Ingegnere Ambientale, laureato presso il Politecnico di Torino, si è specializzato in difesa del suolo. Oggi si occupa di progettazione di impianti ad energia rinnovabile e di sviluppo sostenibile della montagna, con focus sulla mobilità elettrica. Volontario di Protezione Civile, ama la natura, ma anche i social media e la fotografia. Per compensare la formazione scientifica coltiva lo studio della storia e delle scienze politiche. * Contatti: giuseppe.cutano@geomagazine.it * * IG: @latitude_45