Published On: Mar, Mag 11th, 2021

Un mondo di plastica

La plastica è la forma più comune dei detriti marini. Può provenire da una varietà di fonti terrestri e avere un forte impatto sull’oceano e sui grandi laghi.
Un impatto a lungo termine per gli ecosistemi, dal momento che questo genere di detriti, una volta entrati nei nostri oceani, non sono mai completamente biodegradabili. Tra i primi 10 tipi di rifiuti raccolti durante la International Coastal Cleanup del 2017 c’erano involucri alimentari, bottiglie per bevande, sacchetti per la spesa, cannucce e contenitori.

Non è facile stabilire con esattezza quanta plastica ci sia attualmente nell’Oceano, ma le stime più accreditate parlano di 8 milioni di tonnellate ogni anno, pari al peso di 90 portaerei. Il materiale è quello che utilizziamo di continuo; dallo spazzolino da denti ai contenitori per il pranzo o alla bottiglia d’acqua dalla quale beviamo ogni giorno.

Molti di essi sono di tipo “monouso”, progettati cioè per essere utilizzati e scartati rapidamente. Il problema è che vengono generalmente smaltiti o gestiti in modo errato, finendo appunto nei nostri mari. Alcune materie plastiche galleggiano, altre si rompono in piccoli pezzi, prendendo la denominazione di micro-plastiche. Altre ancora, come le micro-fibre per abiti sintetici e per le reti da pesca, rappresentano una delle problematiche maggiori.

Isola di plastica in Oceano

La più grande isola di spazzatura galleggiante è attualmente situata nel bel mezzo del Pacifico. La sua estensione non è nota con precisione: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (cioè da un’area più grande della Penisola Iberica a un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti), ovvero tra lo 0,41% e il 5,6% dell’Oceano Pacifico.

Nonostante le valutazioni ottenute indipendentemente dall’Algalita Marine Research Foundation e dalla Marina degli Stati Uniti stimino l’ammontare complessivo della sola plastica dell’area in un totale di 3 milioni di tonnellate, nell’area potrebbero essere contenuti fino a 100 milioni di tonnellate di detriti.

Una chiazza di detriti galleggianti simile, con densità comparabili, è presente anche nell’Oceano Atlantico (è chiamata “North Atlantic garbage patch“). Molti animali come tartarughe e uccelli muoiono a causa dell’inquinamento da plastica, soprattutto a causa della sua ingestione che può provocare occlusioni o perforamento dell’apparato digestivo.

A seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche svolte fra il Golfo del Maine e il Mar dei Caraibi, la ricercatrice Kara Lavender Law ha riscontrato anche nell’oceano Atlantico un’elevata concentrazione di frammenti plastici in una zona compresa fra le latitudini di 22°N e 38°N, corrispondente all’incirca al Mar dei Sargassi.

Simulazioni al computer hanno individuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell’emisfero meridionale: una nell’oceano Pacifico a Ovest delle coste del Cile e una seconda allungata tra l’Argentina e il Sud Africa attraverso l’Atlantico. Un sesto accumulo di rifiuti potrebbe essere in corso di formazione nel mare di Barents, col rischio di un suo spostamento nel mar Artico.
Tra le possibili soluzioni affinché la plastica non entri nei nostri mari c’è la sua riduzione. Se ognuno di noi cambiasse le proprie abitudini riciclando tali articoli, la situazione comincerebbe a migliorare.
Organizzare e partecipare alle pulizie volontarie per raccogliere rifiuti nella propria comunità.

Una spiaggia ricoperta dalla plastica dopo una mareggiata

Le spiagge, specie dopo la stagione estiva, sono colme di mozziconi di sigarette, involucri per alimenti, bottiglie, cannucce, tazze e piatti, tappi per bottiglie e sacchetti monouso. La pulizia delle coste previene infatti la pulizia dei nostri mari. Questo perché il vento e la pioggia possono spazzare i detriti nei vicini corpi d’acqua, così come fiumi, ruscelli e canali di scolo possono trasportare il materiale verso mari e laghi. Una volta in acqua, gli animali possono facilmente confondere i detriti per cibo, ingerendolo e ponendo fine alla propria esistenza. Molti di essi, inoltre, potrebbero essere uccisi da reti da pesca abbandonate e da svariati altri attrezzi utilizzati dai pescatori.

Il Marine Debris Program (MDP) della NOAA lavora per capire come la plastica – e altri detriti marini – penetrino nel nostro oceano, come possano essere rimossi e come possano essere trattenuti dall’inquinamento del nostro ambiente marino in futuro. L’Italia ha vietato i cotton fioc non biodegradabili dal 2019 e le microplastiche nei cosmetici dal 2020. Secondo la Plastic strategy della Commissione Europea, entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica dovranno essere riciclabili o riutilizzabili e la messa al bando della microplastica. Nel dicembre 2017, l’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite ha adottato un obiettivo globale per fermare lo scarico di plastica in mare.

L’augurio è che tutti, nessuno escluso possa, attraverso gesti quotidiani molto semplici, cominciare una nuova sostenibilità per vincere in modo definitivo l’inquinamento dei nostri mari e favorire la lotta allo spreco. Sentiamoci tutti, uno per uno, degli agenti promotori di questa battaglia.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it