Published On: Sab, Set 23rd, 2023

Inondazioni in Libia, storia di un disastro annunciato

Nelle prime ore dell’11 settembre, gli abitanti di Derna, nel nord-est della Libia, si sono svegliati al suono di forti esplosioni. Dopo più di un decennio di conflitti – inizialmente tra il regime di Gheddafi e le fazioni locali, poi tra le milizie in lotta per il potere – l’area non è mai stata “silenziosa”, ma questa volta era diverso. La tempesta Daniel, con il suo carico di piogge e venti forti, aveva causato la rottura di due dighe a monte verso il Jebel Akhdar (la Montagna Verde). Un’onda di sette metri si è abbattuta lungo il Wadi Derna attraverso la città, trascinando in mare interi sobborghi e spezzando la vita a migliaia di persone.

Eppure, mentre le organizzazioni umanitarie e i servizi medici stranieri cercavano di organizzare operazioni di salvataggio e recupero, Elseddik Haftar, figlio maggiore del signore della guerra regionale, generale Khalifa Haftar, annunciava la sua prossima candidatura alle elezioni presidenziali. Quel momento è quasi la metafora perfetta della difficile situazione di Derna – e della stessa Libia. Un cataclisma fatto di cambiamenti climatici, abbandono e conflitti, aggravato dall’incessante ricerca di potere di una famiglia.

UN DISASTRO ANNUNCIATO DOPO ANNI DI CONFLITTI E ABBANDONI

Nel Novembre 2022 l’idrologo Abdelwanees Ashoor dell’Università Omar Al-Mukhtar nella vicina Bayda, pubblicò una ricerca che metteva in risalto la necessità di un’attenzione urgente alle barriere, perché a suo dire non sarebbero durate a lungo. Parole poi confermate dal vicesindaco di Derna, Ahmed Madroud, dopo l’alluvione: “Le dighe non vengono manutenute dal 2002“.

La ragione di ciò risale agli anni autoritari di Muammar Gheddafi. Da quando egli prese il potere nel 1969, le fazioni dissidenti nella Libia orientale, inclusa Derna, furono irritate dal suo governo. La risposta fu quella di privare la regione di risorse e investimenti, ma la caduta del dittatore non portò sollievo né stabilità all’est. Nella lotta tra fazioni che ne è seguita sono emersi due principali concorrenti: il governo di unità nazionale con sede a Tripoli, sostenuto dalle Nazioni Unite e guidato oggi dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh, mentre a ovest e a sud, nel frattempo, Haftar ha costruito una base di potere a Bengasi e Tobruk da dove il suo esercito di Liberazione Nazionale ha dominato con l’aiuto di alleati stranieri come Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Francia.

Il dittatore libico Muʿammar Gheddafi

Per conferire una parvenza di credibilità, Haftar ha istituito un parlamento a Tobruk con un governo guidato dal primo ministro e politico di carriera Osama Hamad, che deve la sua posizione a Haftar. Entrambe le parti hanno dato priorità alla costruzione di eserciti e milizie piuttosto che alle necessità quotidiane di infrastrutture e servizi.

In un paese devastato dalla guerra civile per più di un decennio, Derna ha sofferto più della maggior parte delle altre aree. La città della Libia è sempre stata un focolaio di dissenso politico e nel 2014 è stata sequestrata dai militanti che l’hanno dichiarata parte del califfato dello Stato Islamico. Haftar ha assediato la città dal 2015 fino alla sua caduta nel 2018 e da quando ha ripreso il potere è stato accusato di ritorsioni contro civili e oppositori politici. La sfiducia reciproca tra i cittadini locali e Haftar significa che non c’è stato praticamente nulla in termini di ricostruzione e sviluppo della città martoriata e, soprattutto, delle dighe che contenevano milioni di litri d’acqua per l’irrigazione e il consumo di acqua potabile. Invece, l’Autorità per gli investimenti militari di Haftar è stata istituita come veicolo familiare, sfruttando industrie e risorse a tutti i livelli, tra cui l’agricoltura, l’energia e l’edilizia. La deforestazione sopra Derna ha accelerato il processo, con gli alberi abbattuti per case vacanza, attività commerciali e per la vendita del legno.

DERNA, SUPERFICIALITA’ E APPELLI CONTRASTANTI

L’arrivo della tempesta Daniel avrebbe messo in pericolo Derna. Senza un’organizzazione chiara, i funzionari civili e il personale di Haftar hanno impartito istruzioni contraddittorie. All’ordine di evacuazione del sindaco Abdulmenam al-Ghaithi, altri funzionari hanno ordinato il coprifuoco e hanno inviato messaggi ai residenti affinché rimanessero sul posto.
Mentre Derna si riprendeva dal disastro, la famiglia Haftar assumeva il controllo. A un altro dei sei figli di Khalifa, il generale di brigata Saddam Haftar, è stato affidato il compito di supervisionare gli sforzi di salvataggio. Suo padre, nel frattempo, avrebbe dovuto “valutare le esigenze delle squadre di soccorso e assicurarsi che avessero le capacità e le risorse necessarie per condurre le operazioni in modo sicuro ed efficiente“. Ma ogni apparenza di ordine e organizzazione è stata infranta quando i giornalisti hanno chiesto a un medico di soccorso cosa sapesse del bilancio delle vittime, ammettendo di non sapere quanti dei suoi concittadini fossero morti.

E non potrebbe essere altrimenti, perché dopo anni di conflitti a Derna, c’è ben poco in termini di burocrazia che potrebbe altrimenti raccogliere questo tipo di informazioni. E quindi i rapporti variano notevolmente. La Mezzaluna Rossa turca ha stimato il bilancio in oltre 11.000 persone e altre 10.000 disperse. Nel frattempo, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ha stimato a 3.958 il numero dei morti. Non si sa quanti siano in realtà. Una cosa però è chiara a tutti: un quarto degli edifici della città sono stati colpiti: quasi 900 sono andati distrutti, più di 200 parzialmente danneggiati e quasi 400 completamente sommersi dal fango.

Haftar, nel frattempo, è stato accusato di fare politica fermando per un’ora gli sforzi delle squadre di ricerca e soccorso composte principalmente da volontari. Emadeddin Badi, analista libico del Consiglio Atlantico, ha riferito al Guardian che Haftar e il suo entourage stavano “creando colli di bottiglia invece di favorire la fornitura di aiuti”.
Nel frattempo a Parigi, Elseddik Haftar porta avanti le sue ambizioni politiche: “Penso di avere tutti i mezzi per alleviare e stabilizzare la Libia, e mettere in atto la coesione e l’unità dei libici“. Con la benedizione del padre signore della guerra che, nel 2021, aveva annunciato che si sarebbe candidato alla presidenza, ma si è fatto da parte all’inizio del 2023 per permettere a uno dei suoi figli di portare avanti l’azienda di famiglia. Nel modello di business della famiglia Haftar, a quanto pare, la gente di Derna è sacrificabile.

TEMPESTA DANIEL, QUANDO I FENOMENI DIVENGONO VIOLENTI

In un mondo di disorganizzazione, mancanza di burocrazia, superficialità, interessi e assenza di restauro delle infrastrutture, c’è Daniel, una tempesta che ha causato ingenti inondazioni anche in Grecia. Un fenomeno meteorologico intensissimo, forse acuito dai cambiamenti climatici che permettono alla superficie marina di avere temperature elevate, che ha scaricato 414,1 mm ad Al Bayda, la maggior parte dei quali caduti in sole 6 ore. Un valore enorme, che secondo il meteorologo Dr. Khalid Elfadli non ha precedenti in Libia.

La tempesta Daniel vista dallo spazio – Credit: Copernicus/SentinelHub/Kosmi

E’ fuori dubbio che il numero delle vittime risulti così elevato a causa delle infrastrutture obsolete e dell’incapacità di gestire l’impatto di tali disastri, ma è altresì chiaro che l’evento avrebbe ugualmente causato ingenti danni e probabilmente tante vittime. Il dato, per una località che gode di una media pluviometrica annua 4 volte inferiore, è realmente impressionante.
Shideh Dashti, professore associato di ingegneria civile, ambientale e architettonica alla CU Boulder, studia come le infrastrutture rispondono ai disastri naturali. A suo dire nelle progettazioni delle infrastutture dobbiamo tenere conto del verificarsi di tali eventi, sempre più frequenti e distruttivi.

La scienza ci dice che eventi estremi come quello in Libia diverranno sempre più comuni, per cui non è possibile adagiarsi sugli allori con infrastrutture progettate negli anni ’50. Perché se anche quelle dighe fossero state progettate e costruite perfettamente in base agli standard esistenti all’epoca, e anche se da allora fossero state manutenute, oggi si farebbero i conti con un diverso livello di rischio.

Gli edifici, pertanto, devono essere rivalutati in relazione alle proiezioni future. La comunità internazionale dovrebbe iniziare a svolgere un ruolo nell’aiutare i paesi poveri in ottica cambiamento climatico. Alcuni di questi paesi contribuiscono in misura minima alla produzione di gas serra, ma subiscono in modo sproporzionato le conseguenze del clima che cambia.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it