Published On: Lun, Dic 14th, 2020

A 109 anni dalla scoperta del Polo Sud: lo straordinario viaggio di Roald Amundsen

Nel tardo pomeriggio del 14 Dicembre 1911, il silenzio assoluto dell’estremità meridionale dell’asse terrestre fu rotto, per la prima volta, dal suono di voci umane; dove nessuno aveva mai posto piede, Roald Amundsen e i suoi quattro compagni norvegesi si congratularono l’un l’altro: erano i primi uomini a raggiungere il Polo Sud.

Fu una delle grandi imprese della storia dell’esplorazione, eppure la reazione di Amundsen fu pacata.

“La meta era raggiunta, il viaggio terminato. Non posso dire – anche se so che farebbe molto più effetto – di aver raggiunto lo scopo della mia vita; sarebbe alterare la verità in maniera troppo sfacciata. E’ meglio che sia sincero e ammetta apertamente di non aver mai conosciuto un uomo in una posizione così diametralmente opposta alla meta dei suoi desideri, come ero io in quel momento. La regione intorno al Polo Nord – ebbene, si, proprio il Polo Nord – mi aveva attirato sin dall’infanzia, ed eccomi al Polo Sud. Si può immaginare nulla di più opposto?”

Furono queste le riflessioni di un uomo di grande fermezza, che considerava la vita non un’avventura isolata, ma un insieme di molte avventure. Come egli stesso ammetteva, non era diventato esploratore per caso.

GLI ALBORI – La scintilla dell’ambizione di Amundsen si accese quando, da ragazzo, lesse la storia della spedizione del grande esploratore artico inglese Sir John Franklin, la cui sfortunata ricerca del passaggio a nord-ovest era stata incredibilmente avventurosa. Deciso a prepararsi per una vita di esplorazioni nell’Artide, egli continuò a leggere tutto ciò che riguardasse l’argomento. Dormì con le finestre spalancate anche in pieno inverno, assentandosi da scuola per recarsi lungo le colline e le montagne adiacenti Oslo.

Divenne un esperto del ghiaccio e della neve e temperò i muscoli per le grandi imprese. Il sogno di sua mamma era quello di vederlo medico, e malgrado Amundsen non fosse interessato, si iscrisse alla facoltà di medicina. A 21 anni, tuttavia, perse entrambi i genitori, così lasciò immediatamente gli studi. Fu l’inizio della sua carriera di esploratore.

LE PRIME SPEDIZIONI – A soli 22 anni intraprese con il fratello una traversata in sci di una catena di montagne ad ovest della capitale norvegese; erano male equipaggiati e con scarse provviste e ben presto si ritrovarono alla meta assiderati, quasi morti di fame, bloccati dalla neve, spaventati e scoraggiati. Tornarono a casa contenti di essere vivi.

Roal imparò la lezione: non accadde mai più che cominciasse una traversata senza un’adeguata preparazione. Anzi, fu proprio quell’esperienza a fare di lui un uomo meticoloso nell’organizzazione di tutte le sue imprese. Prese un diploma di capitano marittimo e nel 1894 si arruolò come marinaio a bordo di una baleniera. Tre anni più tardi divenne capitano in seconda della Belgica, la nave di una spedizione in Antartide finanziata dal Belgio. Anche in quel caso, tuttavia, il tutto si risolse in un disastro.

Sbarcati da Anversa, rimasero bloccati dai ghiacci per ben 13 mesi, alla fine dei quali, preso il comando, riuscì a portare in salvo uomini e imbarcazione. Fu la prima nave che avesse mai svernato nell’Antartide.

IL FINE SCIENTIFICO – L’esploratore si rese ben presto conto che per ottenere finanziamenti avrebbe dovuto dare alla prossima spedizione un fine scientifico. Decise di documentarsi sul magnetismo polare, passando tre lunghi anni ad Amburgo ad approfondire le conoscenze in materia. Fece inoltre esperienza di navigazione nel Mare del Nord, ed elaborò piani minuziosi raccogliendo nel frattempo i fondi necessari.

La Gjøa

Acquistò la Gjoa, un battello da pesca di 47 tonnellate lungo 22 metri e largo 3,5. Si procurò strumenti scientifici, cibo, vestiario, attrezzatura e convinse sei uomini ad accompagnarlo. Amundsen era ormai colmo di debiti e preso dalla disperazione, decise di fuggire salpando da Christiania a mezzanotte, sotto una pioggia torrenziale.

La grande avventura era cominciata.

La Gjoa attraversò l’Atlantico settentrionale e navigò lungo la costa occidentale della Groenlandia fino all’estremità settentrionale dell’isola di Baffin, da dove si diresse a ovest nello Stretto di Lancaster e quindi verso sud, a nord del Canada. La navigazione risultò rallentata a causa della nebbia, dell’acqua poco profonda e dei venti che soffiavano furiosamente, ma alla fine dell’estate trovò un porto naturale nell’isola King William, a nord-ovest della baia di Hudson. Gli uomini lo chiamarono Porto Gjoa e si accinsero a preparare la base che sarebbe stato il quartier generale per i successivi due anni. Ora avevano una casa accogliente, rifugi per cani da slitta e tutte le comodità di cui necessitavano.

In due anni di lavoro scientifico, la spedizione raccolse osservazioni così precise da fornire materiale per 20 anni di studio agli scienziati del magnetismo polare.
Il 13 Agosto 1905 riprese la navigazione verso Ovest, in acque non segnate sulle carte nautiche e sempre meno profonde, verso quello che sarebbe stato il mitico passaggio a nord-ovest. Quando si recò in Alaska in slitta per comunicare la notizia divenne ben presto un eroe.

IL CAMBIO DI ROTTA – Trascorse due anni a tenere conferenze e poté pagare tutti i suoi debiti, evitando la prigione. Ormai 36 enne, l’esploratore si preparò per la regina delle avventure: la scoperta del Polo Nord. Tuttavia, nemmeno il tempo di pianificare l’impresa, che il tenace esploratore Robert Edwin Peary, comunicò al mondo di aver raggiunto proprio il Polo Nord.

Nonostante la delusione non si diede per vinto e cambiò immediatamente rotta, in gran segreto persino dal suo equipaggio; si diresse al Polo Sud, provando ad anticipare Robert Falcon Scott, intento nel suo secondo tentativo. Superato l’Equatore non poté nascondere le sue intenzioni, e preso atto del cambio di programma, gli uomini si ritrovarono in un’insenatura al limite della Barriera di Ross. Un luogo appositamente scelto per anticipare i tempi.

Il 19 Ottobre 1911 ebbe inizio la corsa verso il Polo. Amundsen partì con gli sci, insieme a quattro compagni e quattro slitte leggere, trainata ognuna da 13 cani e si diresse a sud verso la distesa dei ghiacci. Fu un cammino lungo e difficile, rallentato da profondi e pericolosi crepacci e dalla barriera dei Monti Regina Maud.
Crepacci nascosti, enormi rilievi, sterminate distese di ghiaccio e voragini senza fondo li condussero a 88°23′ di latitudine sud, il punto più meridionale toccato da Ernest Shackleton nel 1909. E fu proprio in quel punto che svettò per la prima volta la bandiera norvegese.

“In tutto il tragitto null’altro mi commosse tanto. Le lacrime mi sgorgarono dagli occhi e nessuno sforzo di volontà valse a trattenerle. Era quella bandiera, laggiù, che aveva vinto me e la mia volontà. Per fortuna…ebbi il tempo di riprendermi e di controllare i miei sentimenti prima di riunirmi ai miei compagni”.

Gli esploratori erano a soli 180 Km dalla meta. Il tempo improvvisamente si rasserenò e la superficie del ghiaccio divenne liscia e sgombra. Sembrava un segno del destino. Il 13 Dicembre si resero conto che restavano solo pochi chilometri.

“Era come la vigilia di una grande festa, quella notte nella tenda. Provavo gli stessi sentimenti di quando ero bambino, durante la vigilia di Natale. Un’intensa aspettativa di ciò che stava per accadere”

L’ARRIVO – Il mattino successivo gli esploratori si misero presto in cammino. E così alle 15:00 del 14 Dicembre 1911, la meta era raggiunta: 90° di latitudine sud, il Polo Sud.

Percorsero 2980 Km in 99 giorni; sfiniti, tra congelamenti, bruciature da vento, accecamento da neve, ma avevano raggiunto la meta. Esausti e provati dalle intemperie, nessuno accennava all’impresa, ci volle tempo per metabolizzare la scoperta e cominciare i festeggiamenti. 

Il velo fu squarciato per sempre e uno dei più grandi segreti della Terra cessò di esistere.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it