Published On: Gio, Nov 3rd, 2022

La Marcia su Roma con gli occhi di Re Vittorio Emanuele III

Quest’anno ricorre il 100° anniversario della Marcia su Roma. Era il 1922 quando in Italia si stava vivendo un clima di alta tensione sociale. La prima guerra mondiale si era conclusa da poco tempo e in breve si esaurì l’entusiasmo di una vittoria sofferta e per nulla scontata. I trattati di pace avevano lasciato l’Italia scontenta del bottino di guerra e fu così coniato il termine “La vittoria mutilata”.  Non solo l’Italia, ma l’intera Europa, stavano attraversando un periodo post bellico tumultuoso e di grave crisi economica, ma anche di forte smarrimento culturale. Gli eventi bellici avevano sconquassato stati, eserciti e famiglie. Sicurezze e certezze, durate per lungo tempo, venivano meno. Le tragedie avevano colpito in qualche modo ogni singolo cittadino europeo e oltre alle vittime vi erano molti mutilati di guerra e molte persone con forti problemi psicologici. 

Già durante la guerra, nel 1917, ci fu un evento chiave: la rivoluzione russa; che spazzò l’Impero Russo, lo Zar e la famiglia Romanov. La sollevazione popolare guidata dai marxisti pose fine ad un impero e nacque così nel 1922 il primo stato socialista al mondo: l’URSS. Anche l’Impero Austro-Ungarico crollò come con gigante d’argilla, mettendo fine al regno della dinastia Asburgo. Stesso destino per l’Impero tedesco che costò l’abdicazione del Kaiser e diede inizio alla Repubblica di Weimar (uno stato di transizione dopo la sconfitta della prima guerra mondiale). Questi fatti saranno anche una delle chiavi per quello che vi racconteremo.

Torniamo alla Marcia su Roma e all’ottobre 1922. Mussolini, che aveva saputo con il suo movimento raccogliere il malcontento del Paese sotto continui tumulti da fabbriche e campagne; pensò che grazie allo squadrismo (di fatto al banditismo), in quel clima di caos, ci si potesse sguazzare bene. In quel periodo la politica era debole, si stava disgregando e non sapeva dare risposte, forse perché in un mondo che cambiava era rimasto troppo di impronta sabauda, oltre che distaccata dalla gente. Il fascismo queste cose le aveva colte toccando la pancia del Paese. Pancia del Paese che viveva di stenti, che aveva sofferto la guerra e che di fatto temeva il caos che avrebbero portato gli scioperi legati al crescente marxismo anche in Italia. Il fascismo invece si proponeva di risolvere i problemi e di portare ordine e disciplina, ma con la violenza e a suon di manganelli e olio di ricino.

In quel clima Mussolini e i suoi fedelissimi iniziarono a pensare che potesse essere il momento propizio per prendere il potere in Italia. Dunque tutti i gruppi di squadristi, costituitosi nei fasci, iniziarono a marciare verso la Capitale e si assieparono alle sue porte. Con gli occhi di oggi possiamo affermare che erano gruppi non troppo ben organizzati e anche sbandati. Giovani e meno giovani scontenti della loro situazione e dei risultati della guerra, che trascinati da questo nuovo entusiasmo, si imbarcarono in questa avventura senza neppure sapere bene cosa avrebbe portato. Un bel film del 1962 con Tognazzi e Gassman interpreta bene in maniera goliardica il clima della Marcia. 

Come dicevamo in quel momento storico i governi erano piuttosto deboli e incapaci di far fronte a questi fenomeni. L’unico garante poteva essere Re Vittorio Emanuele III e la Monarchia che ancora godeva di autorevolezza nel Paese. Senza nessuna pretesa di professionisti della storia proviamo a metterci nei panni di Re Vittorio per capire le dinamiche di colui che di fatto “certificò” la nascita del regime fascista. 

Vittorio Emanuele III da giovane (Credit wikisource)

A differenze di suo nonno Vittorio Emanuele II, il nipote era tutt’altro che una persona gioviale o amante della vita avventurosa sia dal punto di vista passionale che di facciata. Niente riserve di caccia, niente amanti contadine, niente di tutto ciò. Vittorio Emanuele III cresce in un clima molto rigido sabaudo/militaresco e con precettori severissimi. Pranzava solo due volte a settimana con i genitori, i quali raramente avevamo momenti di tenerezza verso di lui. L’infanzia fu chiave per instaurare nel giovane futuro re d’Italia un carattere schivo e riservato. Non era fatto per i palazzi della Capitale e infatti quando fu nominato Re si trasferì dal Quirinale in centro a Roma a Villa Savoia (nel parco attuale romano di Villa Ada), fuori dai luoghi dove la politica fremeva. 

Per via della sua altezza di 1,58 cm, Vittorio soffrì per tutta la vita di un forte complesso di inferiorità. Questo “difetto” fisico, nonostante fosse Re d’Italia, non lo toglieva spesso dall’imbarazzo. Ragione per cui evitata la vita di palazzo e si concentrava sullo studio e sul lavoro d’ufficio. Dopo il regicidio del padre, Umberto I, Vittorio si trovò nel 1900 a diventare Re a 31 anni. Da subito si mise al lavoro con il Parlamento e a differenza del padre ebbe una posizione critica verso le leggi che gli venivano sottoposte per la firma. Dunque non si pose sicuramente come un Re passivo. Si trovò dopo pochi anni a dover fronteggiare la discesa in campo per la prima guerra mondiale e per la costante presenza al fronte venne anche chiamato il “Re Soldato”. Quindi, nonostante il suo carattere e le sue turbe, di certo fu un Re che nella prima parte del suo regno non venne meno al suo ruolo. 

Assedianti Marcia su Roma, Ottobre 1922 (Credit Rai Scuola)

Ritorniamo però nuovamente alla Marcia su Roma e a quei fermenti giorni di ottobre 1922. La Capitale era pronta ad essere assediata per un tentativo di fatto di colpo di Stato, ma fra gli “assedianti” c’erano un totale scoordinamento e una forte impreparazione. Come dicono molti storici, non sarebbe stato troppo difficile con l’esercito ricacciare quella marea nera. Ci furono dunque diversi giorni di attendismo sia da parte dei fascisti che da parte del governo. In quel periodo il primo ministro era Luigi Facta, giolittiano, che secondo molti non era calzato per quel ruolo. Di certo il capo del governo aveva però chiaro che i riottosi andavano fermati e promulgò lo Stato di Assedio.

A questo punto l’ultima decisione spettava a Re Vittorio. Cosa fare? Firmare? Oppure assecondare gli assedianti? Immaginiamo la responsabilità di quel momento, di una persona ignara e inconsapevole che avrebbe cambiato la storia d’Italia per sempre e lasciato cicatrici per decenni. Di certo le pressioni su di lui erano fortissime. Esterne perché una fetta del Paese (non ampissima, ma che urlava) chiedeva questa “rivoluzione” e una svolta sociale importante. Inoltre la paura di una presa del potere dei marxisti era concreta a tutti i livelli e soprattutto fra gli industriali e fra chi ancora una volta “voleva che tutto cambiasse, affinché nulla cambiasse”. Il Re inoltre era molto diffidente e non si fidava neppure dei suoi più stretti collaboratori, quindi questo aumentava le sue pressioni interne e l’indecisione. Firmare avrebbe forse messo in sicurezza la Monarchia che in quel momento era in totale decadenza in tutta Europa e quello che era successo in Russia lo aveva colpito profondamente. Quindi in fondo il Re non nascondeva una simpatia di chi avrebbe voluto riportare l’ordine. Inoltre firmare lo Stato d’Assedio avrebbe portato sicuramente sangue e forse lo scoppio di una guerra civile. Lo stesso Mussolini dichiarò dopo che avrebbe potuto prendere il potere con la forza, ma non lo fece.

Immaginiamo dunque lo stato d’animo del Re, che di fatto era anche lui un essere umano con dubbi e insicurezze e si trovava inconsciamente ad essere la chiave del destino del Paese. Quale fu la sua scelta? Quella di rigettare lo Stato di Assedio e non firmarlo. Il Re disse a Facta, che contestualmente si dimise lasciando il Paese senza controllo: “Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d’assedio non c’è che la guerra civile. Ora bisogna che uno di noi due si sacrifichi”. Quel rigetto aprì le porte all’ingresso dei fascisti nella Capitale. La buona notizia almeno che non si sparò e in città iniziò una sfilata di camice nere festanti.

Facta, Mussolini e Re Vittorio, 3 personaggi chiavi della Marcia su Roma (Credit passaggi lenti)

Nel frattempo, Mussolini, che però non si fidava molto del Re, si era ben guardato di stare a Roma mentre i suoi uomini assediavano la Capitale e aspettava a Milano l’evolversi della situazione. Ci un primo telegramma, in cui il Re lo invitava a Roma per conferire il 28 ottobre 1922, ma non ci fu nessuna risposta. Solo un secondo telegramma del giorno successivo, dove si faceva espressamente menzione del volergli affidare il governo, che fu l’invito a nozze per Mussolini ad andare a prendere il potere. In ogni caso va detto che fra i due, in tutto il ventennio, non ci sarà mai una totale fiducia. 

Con quegli eventi e con la scelta di Re Vittorio III probabilmente si evitarono ulteriori spargimenti di sangue, ma furono soltanto rinviati di 20 anni poiché la guerra civile scoppiò ugualmente. Dunque forse la scelta di Re Vittorio fu solo un tentativo di rimandarla sperando che le acque si calmassero, ma invece si aprì uno dei ventenni più catastrofici d’Italia che portò il Paese alla distruzione lasciando fra vittime militari e civili quasi mezzo milioni di italiani morti. In questa occasione non entriamo in merito alla scelta di Vittorio Emanuele III di spostare la capitale da Roma a Brindisi nel settembre 1943, lasciando la Capitale  durante lo scontro fra angloamericani e nazifascisti.

I posti di potere sono prestigiosi, ma hanno responsabilità enormi, soprattutto quando poi succedono avvenimenti avversi. La psicologia delle persone gioca un ruolo chiave. Lasciamo però alla storia giudicare quanto Re Vittorio sia stato determinante per questi fatti, ma mettiamoci anche nei panni di chi doveva prendere una decisione non avendo la bacchetta di magica di cosa sarebbe potuto accadere. A voi le considerazioni. 

 

 

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- Ingegnere Ambientale, laureato presso il Politecnico di Torino, si è specializzato in difesa del suolo. Oggi si occupa di progettazione di impianti ad energia rinnovabile e di sviluppo sostenibile della montagna, con focus sulla mobilità elettrica. Volontario di Protezione Civile, ama la natura, ma anche i social media e la fotografia. Per compensare la formazione scientifica coltiva lo studio della storia e delle scienze politiche. * Contatti: giuseppe.cutano@geomagazine.it * * IG: @latitude_45