Published On: Sab, Gen 14th, 2023

Eruzione di Tonga, un anno dopo: un’accurata analisi ne spiega la dinamica

Il 15 Gennaio 2022, a Tonga, un piccolo stato insulare dell’Oceania, si verificò una delle più violente e spettacolari eruzioni vulcaniche mai osservate. La causa, un vulcano sottomarino a centinaia di metri di profondità, che generò un’onda d’urto nell’atmosfera che percorse 17.300 km, arrivando fino in Italia.

Prima di quell’evento la struttura geologica Hunga Tonga-Hunga Ha’apai era una montagna sottomarina poco conosciuta, lungo una catena di 20 vulcani simili che costituiscono la parte tongana della Cintura di fuoco del Pacifico.

Sappiamo molto sui vulcani di superficie lungo quell’area, tra cui il Monte Sant’Elena negli Stati Uniti, il Monte Fuji in Giappone e il Gunung Merapi in Indonesia. Ma sappiamo molto poco delle centinaia di vulcani sottomarini che lo circondano, perché studiarli è difficile, costoso e richiede molto tempo.

LA SPEDIZIONE

L’eruzione dello scorso Gennaio produsse grandi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, insieme ad un boom sonico e ad uno tsunami che attraversò l’intero globo, stabilendo nuovi parametri di riferimento per i fenomeni vulcanici. A causa del COVID l’accesso è risultato problematico, ma gli scienziati locali grazie ad una collaborazione scientifica internazionale, hanno aiutato a scoprire cos’abbia scatenato la sua estrema violenza.

Il cratere Hunga Tonga-Hunga Ha’apai e la caldera prima e dopo l’eruzione. Credit: Sung-Hyun Park/Corea Polar Research Institute

Un team del Tonga Geological Services e dell’Università di Auckland ha utilizzato un sistema di mappatura sonar a più raggi per misurare con precisione la forma del vulcano, appena tre mesi dopo l’esplosione di gennaio.
La squadra ha scoperto che il bordo del vasto vulcano sottomarino era intatto, ma la sommità del cono, una volta di 6 km di diametro, era stata squarciata da un buco largo 4 km e profondo quasi 1 km. Ciò si verifica quando la parte centrale del vulcano collassa su se stessa dopo che il magma è stato rapidamente “pompato fuori”. Dai calcoli si è evinto come siano stati espulsi più di 7,1 chilometri cubi di magma, capaci di contenere il contenuto di un miliardo di tir.

COS’HA SCATENATO UN’ERUZIONE COSI’ VIOLENTA?

Esaminata la consistenza e la chimica delle particelle eruttate (cenere vulcanica), il team ha compreso il motivo di tanta violenza. Diversi magmi erano mescolati prima dell’eruzione, con contrasti visibili su scala da micron a centimetri. 

Questa mappa mostra i siti di ventilazione in corso dopo l’eruzione. Credit: Marta Ribo

Le “impronte digitali” isotopiche che utilizzano piombo, neodimio, uranio e stronzio mostrano che erano coinvolte almeno tre diverse fonti di magma. L’analisi degli isotopi del radio mostra che due corpi magmatici erano più vecchi e risiedevano nel mezzo della crosta terrestre, prima di essere raggiunti da uno nuovo, più giovane, poco prima dell’eruzione.  La mescolanza dei magmi ha causato una forte reazione, spingendo l’acqua e altri cosiddetti “elementi volatili” fuori dalla soluzione e trasformandoli in gas. Questo ha creato bolle d’aria e una schiuma di magma in espansione, spingendo vigorosamente fuori il magma all’inizio dell’eruzione. Questa composizione intermedia o “andesite” ha una bassa viscosità. Significa che il magma può essere espulso rapidamente attraverso strette fessure nella roccia. Quindi, c’è stato un prelievo estremamente rapido di magma da 5-10 km sotto il vulcano, che ha portato a crolli improvvisi e graduali della caldera.

IL COLLASSO DELLA CALDERA

Il collasso della caldera ha portato a una reazione a catena perché l’acqua di mare è improvvisamente drenata attraverso fessure e faglie e ha incontrato il magma che saliva dalle profondità. Il conseguente contatto diretto ad alta pressione dell’acqua con il magma a più di 1150°C ha causato due esplosioni ad alta intensità circa 30 e 45 minuti dall’inizio dell’eruzione.

Registrazione presso la stazione barometrica di Torino dell’onda d’urto (Credit Nimbus)

Ogni esplosione decomprimeva ulteriormente il magma sottostante, continuando la reazione a catena, amplificando la crescita delle bolle e la risalita del magma. Dopo circa un’ora, il pennacchio di eruzione centrale ha perso energia e l’eruzione si è spostata verso un’espulsione di particelle a bassa quota in uno schema concentrico simile a una tenda attorno al vulcano. Questa fase di eruzione meno focalizzata ha portato a flussi piroclastici diffusi – nubi di gas, cenere e frammenti di roccia caldi e veloci – che sono crollati nell’oceano e hanno causato correnti di densità sottomarine. Questi hanno danneggiato vaste lunghezze di cavi dati internazionali e nazionali, isolando Tonga dal resto del mondo.

DOMANDE SENZA RISPOSTA

Anche dopo una lunga analisi di un numero crescente di resoconti di testimoni oculari, ci sono ancora importanti domande senza risposta su questa eruzione. La più importante è quella che ha portato al più grande tsunami locale: un’onda alta 18-20 m che ha colpito la maggior parte delle isole centrali di Tonga un’ora dopo l’eruzione. Attualmente, il miglior candidato è il crollo della caldera stessa, che ha fatto precipitare l’acqua di mare nella nuova cavità.

PREVENZIONE

Questo evento ha paralleli solo con la grande eruzione del 1883 del Krakatoa in Indonesia e ha cambiato la nostra prospettiva sui potenziali pericoli dei vulcani sottomarini poco profondi. A tal proposito sono iniziati i lavori per migliorare il monitoraggio vulcanico a Tonga utilizzando sensori sismici onshore e offshore, insieme a sensori a infrasuoni e una gamma di strumenti di osservazione satellitare. Tutti questi metodi di monitoraggio sono costosi e difficili rispetto ai vulcani terrestri. Nonostante l’enorme spesa delle navi di ricerca sottomarine, sono in corso intensi sforzi per identificare altri vulcani in tutto il mondo che rappresentano minacce simili a Hunga.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it