Published On: Sab, Ott 16th, 2021

La localizzazione delle vecchie e nuove industrie

La posizione di un polo industriale, in termini di pianificazione territoriale e di scelta imprenditoriale, è un problema piuttosto antico. Dove ha più senso collocare un’attività produttiva e quali sono i fattori alla base di questa scelta? Per questo tipo di valutazioni la teoria di Weber è sempre stata piuttosto esaustiva. Il sociologo ed economista tedesco sviluppò quest’analisi ad inizio ‘900, basando la “teoria della localizzazione delle attività industriali” sui seguenti assunti:

1. I costi di trasporto sono funzione lineare della distanza.

2. L’imprenditore opera in regime di concorrenza perfetta e conosce l’ubicazione delle materie prime e dei mercati, cioè non è soggetto alle cosiddette asimmetrie informative.

3. L’imprenditore è avverso al rischio e può vendere a un determinato prezzo tutte le unità di prodotto che in grado di produrre; l’oscillazione del prezzo influenzerà in maniera inversamente proporzionale quella della quantità venduta.

4. Il territorio è da considerarsi continuo, isomorfo e isotropo, in termini morfologici.

Lo scopo di questa teoria è correlato alla scelta della migliore localizzazione per un impianto industriale, tipicamente legata ai minori costi di trasporto. Gli imprenditori, se i costi di trasporto sono ovunque uguali, posizioneranno gli impianti dove i costi saranno più bassi, nell’ottica della massimizzazione del profitto. Per ogni produzione i costi di trasporto sono funzione di 2 elementi:

1. la distanza che intercorre tra le fonti di materie prime ed il punto di lavorazione e tra lo stesso ed il mercato di sbocco;

2. il peso delle materie prime e del prodotto finito.

La combinazione di distanza e peso rappresenta un indice semplice di trasporto (Ict), calcolabile per ogni tonnellata e per ogni chilometro:

  • Ict = CTmp (pmp x dmp) + CTpd (ppf x dpd)
  • CTmp = costo di trasporto delle materie prime (per km, per ton)
  • CTpd = costo di trasporto dei prodotti finiti (per km, per ton)
  • pmp = peso delle materie prime
  • ppf = peso del prodotto finito
  • dmp = distanza tra la fonte della materia prima e il sito della produzione
  • dpd = distanza fra il sito della produzione e il mercato

Il problema della localizzazione si riduce nel trovare il punto in cui il costo totale di trasporto sia minimo. Tre sono le possibili localizzazioni di un’attività:

1. nei pressi della fonte di materie prime

2. vicino al mercato

3. in un punto intermedio tra la fonte ed il mercato.

Fino a qui la teoria accademica, utile per modellizzare un problema che poi, nella realtà, si confronta con situazioni contingenti, vincoli ed opportunità. Quali sono i fattori che condizionano la dinamica della localizzazione di un’attività produttiva? Possiamo citare una serie di aspetti che sono correlati con i costi di trasporto o con altri elementi di carattere geografico:

1. Disponibilità e vicinanza delle materie prime: è un aspetto importantissimo ed è correlato sia alle diverse materie prime necessarie per produrre un bene di consumo, sia alle modalità di lavorazione delle stesse con riferimento alla perdita di peso tra materie prime e prodotto finito. Due esempi accademici classici che fece il mio professore di pianificazione territoriale sono le industrie cartiere e le fabbriche di birra. Tra la pasta di cellulosa e la carta in pacchi la differenza di peso è molto significativa, per cui le cartiere sono tipicamente posizionate vicino alle materie prime (boschi e foreste), sono cioè industrie orientate alla produzione.

2. Vicinanza con il mercato: al contrario dell’esempio della carta, la birra si basa su un prodotto, l’acqua, che si trova ovunque. Si definisce ubiquitario. Per questo ha molto più senso trasportare il luppolo in città che non le birre imbottigliate dalle piantagioni di luppolo fino ai centri in cui la bevanda è consumata. I birrifici sono dunque industrie orientate al mercato. Tipicamente il cotone, i minerali, la canna da zucchero sono prodotti localizzati, al contrario acqua e sabbia sono ubiquitari. La vicinanza col mercato riduce i trasporti e consente di accedere facilmente ad una serie di servizi.

3. Disponibilità di energia: alcune industrie sono particolarmente energivore, soprattutto le industrie metallurgiche, ma anche quelle manifatturiere. Le industrie di produzione dell’alluminio sono spesso state localizzate nei pressi di centrali idroelettriche, ma anche industrie tessili come i cotonifici nascono con un modello di autoproduzione elettrica. Quando la necessità riguarda per lo più energia termica la questione può divenire più complessa perché scenari di risparmio energetico potrebbero consigliare di accoppiare il teleriscaldamento civile ed industriale, ma aspetti ambientali e di opportunità devono essere attentamente valutati.

4. Disponibilità di maestranze: la disponibilità di forza lavoro ha spesso guidato le scelte di localizzazione in Italia, legandole indissolubilmente alla politica, che nel bene e nel male ha sostenuto piani di sviluppo tipicamente nel Mezzogiorno. Disponibilità di personale qualificato, competenze particolari o alto livello di scolarizzazione, oppure semplicemente un livello di disoccupazione particolarmente elevato possono guidare le scelte sia imprenditoriali sia politiche nel dislocare attività produttive e siti industriali.

5. Condizioni climatiche: gli esempi sicuramente più calzanti riguardano senz’altro il turismo e la produzione di energia da fonti rinnovabili, per motivi che sono facili da intuire. Con riferimento a settori produttivi più tradizionali possono inquadrare il clima come un elemento che influisce sui processi produttivi e sul trasporto.

6. Agglomerazione o altri fattori contingenti: succede di sovente che un’industria nasca vicino ad un’altra per sfruttare un contesto favorevole, tipicamente manodopera già formata, servizi, infrastrutture, cultura del prodotto; si crea in questo caso un distretto industriale di attività affini potenzialmente sinergiche, in filiera o anche meramente concorrenti in un contesto geografico particolarmente adatto o storicamente predisposto.

7. Fattori politici e religiosi: possono dipendere da tradizioni antiche come il pellegrinaggio (si pensi a Lourdes o alla Mecca per l’industria turistica) oppure da scelte politiche di promozione di siti industriali; mi vengono in mente anche le vicende sia di politica interna sia di politica estera di uno Stato, o addirittura le dinamiche di progressiva indipendenza o secessione di alcuni territori, oppure le decisioni, per certi versi clamorose, di modifica della città capitale di uno Stato indipendente, avvenuta in tutti i contesti extraeuropei nel corso degli ultimi cento anni. Tutti questi aspetti influenzano in modo assai marcato i processi produttivi e le dinamiche pianificatorie.

8. Disponibilità di capitali: start-up vecchie e nuove possono partire da Tycoon più o meno ispirati, visionari, imprenditori aggressivi o illuminati. A volte anche da ragazzi brillanti. Il fattor comune di iniziative pionieristiche, o anche solo di iniziative imprenditoriali, è certamente la disponibilità di denaro da investire in una nuova attività, denaro che può provenire da un’attività differente (il calciatore ormai a fine carriera investe quanto guadagnato ed apre un’attività; l’imprenditore nel settore tessile diversifica il suo business nel settore della logistica o dell’energia) ma che è almeno in parte già disponibile al promotore dell’iniziativa o al venture capital che decide di investire su un’idea.

Un approccio così conservatore all’analisi della pianificazione industriale è solo in parte superato. Certamente il mondo produttivo è molto complesso e le connessioni tra diverse fasi, semilavorati, servizi ancillari, indotto configura una logistica fatta di delocalizzazioni, networking, parcellizzazioni ed altro. In tutto questo la digitalizzazione, i contatti virtuali, le nuove modalità di lavoro hanno consentito di abbattere molti confini e vincoli, e di rendere davvero globalizzato il mercato, con un processo graduale ed inesorabile durato decenni. Al giorno d’oggi possiamo lavorare a distanza, su altri fusi orari e con colleghi e clienti di tutto il Mondo, ma è un dato di fatto che le merci vadano prodotte in luoghi fisici e debbano essere consegnate in altri luoghi fisici. Pertanto, le considerazioni qui illustrate possono essere ritenute per molti versi ancora valide e si possono applicare a settori di produzione più recenti: ad esempio la produzione di nuove commodity come il biofuel e l’idrogeno. Qual è il posizionamento più conveniente per le facility di produzione di idrogeno? Per produrre l’idrogeno ci vogliono acqua ed energia. L’energia dovrà essere necessariamente prodotta da fonti rinnovabili, per rendere ragionevole l’utilizzo del nuovo combustibile in quantità massicce. La produzione avverrà in poli industriali di dimensioni diverse, ma presumibilmente saranno siti di importanza considerevole, con l’obiettivo di sostituire almeno in parte i combustibili fossili. Tipicamente l’energia rinnovabile è sitospecifica, cioè non ubiquitaria, mentre l’acqua è una materia per lo più ubiquitaria. La domanda ad oggi più difficile è in altre parole: conviene trasportare l’energia elettrica ad un polo industriale situato vicino al mercato, trasportare l’idrogeno prodotto nei pressi delle centrali elettriche con pipeline dal sito di produzione al mercato o trovare soluzioni intermedie? Io mi sono fatto una mia idea, ma il posizionamento di un polo industriale seguirà di volta in volta e almeno in parte le regole che ho illustrato, non prescindendo da eccezioni, distorsioni e dinamiche locali che però non stravolgeranno principi economici e buon senso.

 

 

About the Author

- ingegnere per l’ambiente ed il territorio, laureato a Trento, si è sempre occupato di progettazione idroelettrica, mercato dell’energia, idraulica ed ambiente. Ha numerose esperienze lavorative internazionali (Brasile, Africa centrale, Australia) ed una passione per la geografia e la cultura classica. Questa passione lo ha portato a laurearsi in geografia nel 2020 con una tesi sugli itinerari culturali. Velleità da periegeta e da geografo naïve non lo distolgono dal grande obiettivo di sensibilizzare le persone rispetto al tema dell’energia, della sua produzione, del risparmio ed in un’ultima analisi della strategica importanza che questa commodity riveste. Il progetto GeoMagazine lo ha convinto sin dall’inizio e, oltre che alla produzione di articoli tra scienza e contaminazioni umanistiche, a rivestire il ruolo di editore di questa pagina di comunicazione scientifica ed ambientale, con l’obiettivo di renderla un canale di informazione imparziale ed obiettivo, lontano da semplificazioni, sottintesi e qualunquismo. Un canale che si rivolge ad un pubblico variegato in termini di età e formazione, ma che si pone una regola ferrea: analizzare i problemi, suffragarli, e spiegarli in modo semplice. Lo story telling che si può invece scorgere negli articoli più leggeri vuole essere una posa di positivismo ed un’ispirazione verso mondi inesplorati, fuori e dentro di noi.