Published On: Mer, Ott 12th, 2022

Dart, missione compiuta!

Il dispositivo Dart (Double Asteroid Redirection Test) che la Nasa ha fatto volutamente schiantare contro l’asteroide Dimorphos ha avuto successo. Da qualche giorno, quindi, l’umanità è a conoscenza del fatto che siamo in grado di deviare la traiettoria di una roccia spaziale potenzialmente pericolosa per la vita sulla Terra. 

L’oggetto cosmico ha subìto una modifica del suo periodo orbitale del 4% (o 32 minuti) dopo essere stato spinto in un’orbita più piccola attorno al suo fratello maggiore Didymos. Misure che sono state ottenute dai telescopi terrestri ubicati in Cile e nel Sud Africa, con la collaborazione di due telescopi radar statunitensi.
Naturalmente il test ha avuto luogo per soli fini di prevenzione e come “punto di ancoraggio” per simulazioni e calcoli di impatti futuri, dal momento che la coppia di asteroidi, che ruota attorno al Sole ogni 2,1 anni, non rappresentava una minaccia per il nostro pianeta.

FANTASCIENZA CHE DIVIENE REALTA’

Scatto di Dimorphos, dall’imager DRACO

Il metodo dell’impatto cinetico, nonostante sia l’unico oggi realizzabile, ha reso realtà quella che un tempo era fantascienza. L’abbiamo visto in molte pellicole Hollywoodiane, tra cui “Armageddon”, “Deep Impact” e “Don’t Look Up”.

Dimorphos, che ha un diametro di 160 metri o all’incirca le dimensioni di una grande piramide egizia, è apparso come un puntino di luce circa un’ora prima dell’impatto. La sua forma a uovo e la superficie scoscesa punteggiata di massi sono finalmente apparse in modo chiaro negli ultimi istanti, mentre DART correva verso di esso a circa 23.500 chilometri all’ora.

UNA PSEUDO-COMETA

Nei giorni seguenti all’impatto gli astronomi hanno potuto osservare immagini di materia che si estendeva nello spazio per migliaia di chilometri. Scatti raccolti dalla Terra e dai telescopi spaziali, nonché da un minuscolo satellite compagno che ha viaggiato nella zona con DART; e grazie alla sua nuova coda temporanea, Dimorphos si è trasformato in una sorta di cometa artificiale.

Ma la quantificazione dell’efficacia del test ha richiesto un’analisi dettagliata di alcune settimane. Il test ha mostrato agli scienziati che l’asteroide è più simile ad un mucchio di massi legati dalla gravità reciproca, piuttosto che ad un unico corpo solido. Se un asteroide dovesse essere più solido, lo slancio impartito da un’astronave sarebbe limitato, ma se una massa significativa venisse spinta ad alta velocità nella direzione opposta all’impatto, si verificherebbe un’ulteriore spinta.

NESSUN PROBLEMA PER ORA…

E’ noto che nessun asteroide conosciuto più grande di 140 metri abbia possibilità significative di colpire la Terra nei prossimi 100 anni. Tuttavia, è altresì noto che ciò è accaduto in passato e sicuramente prima o poi dovrà riaccadere.

La documentazione geologica mostra, ad esempio, che un asteroide largo quasi 10 Km colpì la Terra 66 milioni di anni fa, facendo precipitare il mondo in un lungo inverno nucleare che portò all’estinzione di massa dei dinosauri insieme al 75% di altre specie. La NASA prevede di lanciare nel 2026 un telescopio chiamato Near-Earth Object (NEO) Surveyor per caratterizzare meglio gli asteroidi e le comete di almeno 140 metri potenzialmente pericolosi che si trovano entro 48 milioni di Km. Anche perché sino ad ora abbiamo scoperto solo la metà degli oggetti stimati di queste dimensioni.

…IN FUTURO

Se un oggetto in avvicinamento dovesse essere scovato in tempo utile, un’astronave potrebbe volare al suo fianco abbastanza a lungo fungendo da trattore gravitazionale.
Un’altra opzione sarebbe lanciare esplosivi nucleari per reindirizzare o distruggere un asteroide. Soluzione più complessa, dal momento che tali armi dovrebbero essere utilizzate in tempo utile affinché i detriti della roccia spaziale passino a distanza di sicurezza dalla nostra atmosfera.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it