Published On: Sab, Dic 3rd, 2022

Parco Nazionale Gran Paradiso, 100 anni di protezione della natura

Con il regio decreto 1584 del 3 dicembre 1922, Re Vittorio Emanuele III firma la nascita della prima area protetta d’Italia: il Parco Nazionale del Gran Paradiso. Insieme al Parco del Gran Paradiso viene anche istituito il Parco Nazionale d’Abruzzo, oggi Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. In Europa, così come negli Stati Uniti inizia, inizia a farsi largo il concetto di conservazione della natura. In Svezia nascono le prime aree protette europee, ma subito a ridosso arriva anche il nostro Gran Paradiso. Proteggere la natura ad inizio secolo era di certo un concetto molto avanguardista, che seppur oggi sia abbastanza assodato, 100 anni dopo non è così scontato. Se pensiamo alla frase scritta sul decreto del ’22 è davvero molto moderna per l’epocaallo scopo di preservare la fauna e la flora e di preservarne le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio”.

100 anni (Credit TCI)

La storia del Gran Paradiso, arriva però da più lontano del 1922. Già nel 1821, 200 anni fa, veniva istituita una riserva di caccia assoluta per i Savoia. Gli stambecchi erano quasi estinti sulle Alpi e quei pochi rimasti attorno al massiccio montuoso, che divide Piemonte e Valle d’Aosta, si volevano riservare a caccia esclusiva per i monarchi. Paradossalmente questa limitazione, sarà la fortuna stessa della sopravvivenza dello stambecco. Re Vittorio Emanuele II, padre della patria e nonno di Re Vittorio Emanuele III, amava la vita rurale e la caccia. Fu il sovrano che più ne beneficiò di questa riserva creata dal nonno Carlo Felice. Questa area, esclusiva dei Savoia, era meta frequente del primo sovrano d’Italia che aveva diverse residenze e mulattiere costruite ad hoc per le sue battute di caccia. Il re da queste parti era molto amato perché ovviamente le sue battute di caccia portavano lavoro e coinvolgevano la popolazione con varie attività di supporto. E come è noto non disdegnava stare fra la gente e intrattenersi anche con le popolane. Questo affetto è testimoniato ad esempio dal costume tipico della valle di Cogne che ha inserti verdi, bianchi e rossi in onore del primo re d’Italia. 

Ultima battuta di caccia, 1913 (Credit PNGP)

Il nipote, Vittorio Emanuele III, era invece tutto il contrario del nonno. Un carattere molto schivo e più avvezzo allo studio e poco alla vita rurale e queste riserve di caccia erano molto di suo interesse. L’ultima sua battuta di caccia reale risale al 1913 e già allora aveva manifestato la volontà di donare queste aree allo Stato italiano. E così, 9 anni dopo,  con la firma del decreto regio, inizia la storia secolare di questa Parco Nazionale che di fatto era rimasta l’unica area d’Europa dove erano presenti capi di stambecco. Nei secoli la fauna selvatica era stata sradicata dalle Alpi, sterminati lupi, linci, orsi, così come tanti ungulati come stambecchi e camosci. L’elevato sfruttamento della montagna aveva reso queste aree a forte rischio di conservazione. 

Gli inizi dell’area protetta non sono state rose e fiori e i capi di stambecchi continuavano a diminuire. Erano anche gli anni della guerra e la caccia di frodo serviva anche alla sopravvivenza della popolazione locale stremata dalle sofferenze del cibo contingentato. Solo con gli anni ’50 iniziò seriamente il ruolo di protezione attivo della natura e dello stambecco. Arrivarono poi altri anni difficili. Erano gli anni del boom dello sviluppo delle località di montagna e le limitazioni del Parco, in termini edilizi, lasciarono scontenta la popolazione locale. A quei tempi nascevano i modelli sbagliati delle città portate in montagna. Il non poter costruire mise in cattiva luce il Parco come fonte di negazione di sviluppo. Oggi possiamo invece dire che quelle azioni di tutela, viste allora come imposizioni dello Stato, furono lungimiranti per conservare la natura e i paesaggi autentici.

Stambecchi sotto la neve (Credit PNGP)

Oggigiorno lo Stambecco, dalle poche decine di capi (meno di 100) degli inizi nel Parco, ne conta diverse migliaia. Il ceppo genetico salvato nel Gran Paradiso è stato poi re-introdotto in varie zone delle Alpi e, oggi, grazie a queste azioni ci sono migliaia di capi che hanno ripopolato le  montagne d’Europa. La quantità di ungulati ha così anche riportato, ad inizi anni 2000, il lupo salvatosi miracolosamente in Appennino. Con il suo ritorno si va così piano piano a ricreare la catena ecologica andando lentamente verso quel percorso di equilibrio degli habitat.

Laghetti Lauson, Cogne (Credit Tripadvisor)

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso ha negli anni ottenuto diverse certificazioni e riconoscimenti internazionali importanti e ricopre un ruolo importante nella ricerca scientifica su flora e fauna, ma anche sui cambiamenti climatici. Un Parco nazionale non è di certo uno zoo, come molti erroneamente pensano, ma un’area che si sta rigenerando e che cerca un equilibrio con l’uomo e il tentativo di sviluppo sostenibile. Non è facile accostare i due temi di protezione della natura e di vero sviluppo sostenibile, ma la vera sfida del domani è proprio questa. Se ieri era molto avanguardista delimitare una area e proteggerla, anche oggi possiamo provare a fare qualcosa di moderno. Pensiamo ad esempio al progetto che come GeoMagazine.it sosteniamo ed è quello della “Montagna Sacra al Gran Paradiso”, un luogo che rimanga ad esclusivo all’utilizzo della natura. Seppur con spirito diverso può essere analogamente paragonato a come fece il Re con la sua riserva che divenne la fortuna della sopravvivenza dello stambecco.

Dunque tanti auguri al primo Parco Nazionale d’Italia che ha fatto tanta strada e ne dovrà fare tanta. Anche il percorso odierno non è così facile. Lo spopolamento della montagna è sotto gli occhi di tutti, così come lo sfruttamento elevato e i cambiamenti climatici del nostro pianeta e quindi proprio un Parco Nazionale può essere il trait d’union fra queste due tematiche molto attuali ed farsi parte attiva per lasciare alle nuove generazioni il beneficio di poter contemplare questo (Gran) Paradiso e continuare a vivere il motto del Parco: Emozioni senza fine!

 

 

Fonti consultate: PNGP.it

 

About the Author

- Ingegnere Ambientale, laureato presso il Politecnico di Torino, si è specializzato in difesa del suolo. Oggi si occupa di progettazione di impianti ad energia rinnovabile e di sviluppo sostenibile della montagna, con focus sulla mobilità elettrica. Volontario di Protezione Civile, ama la natura, ma anche i social media e la fotografia. Per compensare la formazione scientifica coltiva lo studio della storia e delle scienze politiche. * Contatti: giuseppe.cutano@geomagazine.it * * IG: @latitude_45