Published On: Lun, Set 4th, 2023

4 Settembre 1860, scalato il primo 4.000 (quasi) italiano dall’Alpine Club

Il 4 settembre del 1860, cioè esattamente 163 anni fa, veniva scalato per la prima volta il Gran Paradiso: 4.061 metri sul livello del mare. In quel momento l’Italia (formalmente non esistente) si trovava nel caos e ci sarebbero voluti ancora circa 6 mesi prima che venisse dichiarato lo stato unitario (17 marzo 1861). Nel frattempo però, in quel settembre, i destini erano ormai quasi scritti. 

Il Regno di Sardegna si era da poco annesso la Lombardia dopo la vittoriosa seconda guerra di indipedenza nel luglio del 1859 contro l’Austria-Ungheria. Lo stato sabaudo si era fatto aiutare dai francesi e con gli accordi segreti di Plombières si concordò la cessione di Nizza a Savoia agli alleati transalpini. Il trattato di Torino, del 24 marzo 1860, sanciva questa cessione dopo oltre 800 anni di unità sabauda attorno al Monte Bianco. Così la vetta più alta d’Europa, che allora era anche la vetta più alta del Regno di Sardegna, pari a 4.810 metri sul livello del mare, diventava cosi terra di confine. Talaltro oggi confine conteso e di cui ne abbiamo ampiamente parlato in alcuni articoli. 

Dunque la Valle d’Aosta, parte del Regno di Sardegna, diventava confinante con due stati: Francia e Svizzera e dunque anche il Monte Bianco, come il Cervino e il Monte Rosa diventava vetta spartita fra più stati. Dunque l’unico 4.000 totalmente italiano, ma più correttamente a quell’epoca sardo, diventava il Gran Paradiso che era localizzato totalmente all’interno del Regno. 

Come dicevamo, nel frattempo, c’era fermento nella Penisola e in quel mentre il Regno di Sardegna andava ad unire il proprio Regno con il sud Italia borbonico conquistato da Garibaldi. Il suggello avvenne con il famoso incontro fra l’eroe dei due Mondi e Vittorio Emanuele II a Teano nell’ottobre del 1860.

Dopo aver contestualizzato il periodo torniamo però alla prima ascensione del Gran Paradiso. Nonostante il caos sulla Penisola, continuava anche la vita normale e i viaggi tipicamente romantici dell’800. Numerosi furono i turisti/letterati inglesi che visitarono l’Italia per vedere le sue rovine romane e greche, ma anche molti che si avventuravano per scalare le inviolate vette alpine.

Come spesso accadde, in quel periodo, l‘Inghilterra era il faro d’Europa su tante cose e stava vivendo in pieno le rivoluzioni industriali e un conseguente benessere. Fu proprio qui che ad inizio ‘800, e non sulle Alpi (dove c’era poco benessere), che si crearono i primi club alpini. Queste libere associazioni erano fatte da persone che avevano la passione di esplorare e in particolare le montagne alpine. 

L’Alpine Club fondato a Londra nel 1857 aveva questa missionUna associazione di gentiluomini inglesi praticanti l’alpinismo, specialmente nelle Alpi, i cui membri si sono dedicati con successo a tentativi di ascensione sulle cime più elevate”. E’ chiaro da queste frasi quale fosse lo spirito di queste scalate.

Illustrazione del manuale del Club Alpino Inglese (Credit Google Libri)

Il club alpino inglese pubblicò una prima edizione del Peaks, Passes and Glaciers (Vette, Colli e Ghiacci) nel 1859 con i racconti e le testimonianze di membri del club che si erano avventurati su queste vette. A seguito del grande successo fu pubblicata una seconda edizione nel 1862 e qui troviamo notizie della prima scalata del Gran Paradiso.

Su questi rari e affascinanti manuali inglesi troviamo le informazioni di coloro che affrontarono queste imprese. A quel tempo di certo non c’erano le attrezzature di oggi, le previsioni meteo e tutte le comodità che abbiamo per affrontare una vetta. Dunque erano veramente sfide uomo – natura.

Il Gran Paradiso era rimasto una delle vette inviolate di questa parte di Alpi. L’alpinista inglese e membro della Royal Geographic Society John Jeremy Cowell lamentava nel manuale che fosse una vetta che meriterebbe maggiore visibilità e che era stata trascurata sulle mappe dallo stesso servizio geografico sabaudo. La vicina Grivola (3.969 metri), anche più conosciuta e affascinante per via della sua forma piramidale, era stata scalata da Cogne l’anno precedente.

Massiccio del Gran Paradiso visto da Cogne (Credit G. Cutano)

Da quello che leggiamo la mattina del 4 settembre era fredda e nevosa e non c’era certezza se quello sarebbe stato il giorno giusto per compiere l’impresa. L’alpinista inglese era accompagnato dall’amico e membro del club alpino inglese W.Dundas e dalle guide alpine di Chamonix, località che era da poco diventata territorio francese, Michel Payot e Jean Tairraz. Il Monte Bianco era stato scalato per la prima volta già a fine ‘700. Nella zona di Chamonix l’alpinismo si era sviluppato molto proprio per portare in vetta molti avventurieri inglesi e dunque qui si trovano le guide più esperte. 

Come dicevamo la mattina del 4 settembre non faceva caldo (come oggi nel 2023) e nevischiava, ma il tempo migliorò verso le 7:30 e così la spedizione partì. Nonostante la neve fresca, partendo dalla Valsavarenche (dalla cosiddetta via normale), i 4 alpinisti conquistarono la vetta del Gran Paradiso dopo circa 6 ore di cammino. Resteranno in vetta circa 8 minuti anche perché il clima non era dei migliori. Il giorno successivo il tempo migliorò sensibilmente e Cowell e Payot decisero subito di replicare e ritornarono in vetta anche per vedere meglio quello che il giorno prima avevano percorso a fatica a causa delle condizioni meteo. Dundas e Tairraz rientrarono ad Aosta. Il 5 settembre, in questa seconda ascesa, Cowell contò i 1250 gradini scavati fra ghiaccio e neve da Payot e stabilirono che quello era un record per una guida di Chamonix. Dunque una doppia impresa.

Da questi racconti traspare l’avventura e il pionierismo alpinistico di quegli anni, ma allo stesso tempo deduciamo che c’era molto di più di una semplice ascesa dal punto di vista “sportivo”, ma questi alpinisti, che erano anche scrittori e geografi, ci restituiscono molti dettagli del contesto, spesso con riferimenti storici e antropologici. Dunque queste cronache, che sono una sorta di quadro impressionista, sono davvero una miniera d’oro di informazioni che permettono di avere un quadro dell’epoca e dove troviamo anche interessanti considerazioni sui cambiamenti climatici dei quali ci occuperemo prossimamente. 

 

 

 

 

About the Author

- Ingegnere Ambientale, laureato presso il Politecnico di Torino, si è specializzato in difesa del suolo. Oggi si occupa di progettazione di impianti ad energia rinnovabile e di sviluppo sostenibile della montagna, con focus sulla mobilità elettrica. Volontario di Protezione Civile, ama la natura, ma anche i social media e la fotografia. Per compensare la formazione scientifica coltiva lo studio della storia e delle scienze politiche. * Contatti: giuseppe.cutano@geomagazine.it * * IG: @latitude_45