Published On: Mar, Giu 23rd, 2020

Abbiamo inquinato la Fossa delle Marianne, negli abissi del Pacifico

Che l’uomo sia una fonte inesauribile di inquinamento per l’ambiente è cosa risaputa, ma che riuscisse ad inquinare con il mercurio il punto più profondo della Terra negli abissi oceanici è una notizia inattesa.

In realtà qualche anno fa le agenzie di stampa riportarono la presenza di materiale plastico anche in quelle aree, ma l’inquinamento scoperto recentemente può avere un maggior impatto per l’uomo. Analizzando il modo in cui il mercurio influisce sull’ambiente marino e su come può essere concentrato nella catena alimentare, due gruppi indipendenti di scienziati, che hanno presentato i rispettivi lavori alla conferenza di geochimica di Goldschmidt, hanno osservato del metilmercurio (artificiale e naturale) nei pesci e nei crostacei della Fossa delle Marianne, a 10.920 metri sotto l’Oceano Pacifico.

Ricerche precedenti avevano già scoperto che questo si propagasse sino a centinaia di metri sotto la superficie marina, ma nessuno pensava che potesse arrivare agli abissi oceanici.

Il mercurio è tossico per l’uomo e per gli animali, e si è reso responsabile di catastrofi ambientali del passato. Tende a concentrarsi negli organismi marini, dove piccole quantità vengono ingerite da alcune specie che vengono a loro volta mangiate da specie più grandi; ciò significa che i livelli dannosi di mercurio possono essere concentrati negli animali che si trovano più in alto nelle reti alimentari naturali attraverso il processo di bioaccumulo. Ad esempio, ciò porta a concentrazioni di mercurio nel pesce spada pari a 40 volte quelle del salmone.

Secondo Ruoyu Sun, a capo del primo gruppo di ricercatori dell’Università di Tianjin, in Cina, le prove che gli isotopi del mercurio trovate nella fauna a queste profondità provengano dagli strati superiori dell’Oceano sono inequivocabili. Ciò si è reso chiaro attraverso sofisticati veicoli inviati nel 2016-2017 che hanno ispezionato le aree più remote e inaccessibili delle profondità oceaniche.

L’altro gruppo guidato dal Dr. Joel Blum dell’Università del Michigan, ha analizzato pesci e crostacei provenienti dagli abissi del Pacifico, in particolare dalla Fossa di Kermadec vicino alla Nuova Zelanda (che scende a 10.047 m) e dalla Fossa delle Marianne al largo delle Filippine, trovando risultati identici.

Il mercurio si deposita nell’atmosfera e viene trasportato negli oceani in caso di pioggia. A portarlo in profondità poi ci pensano le carcasse di pesci e mammiferi marini, nonché grazie alle particelle. Questo lavoro dimostra che il mercurio rilasciato dall’uomo ha raggiunto ed è entrato nelle reti alimentari anche negli ecosistemi marini più remoti sulla terra.
Le nostre scoperte rivelano che negli oceani profondi viene prodotto pochissimo metilmercurio e implicano che il rilascio di mercurio antropogenico sulla superficie terrestre sia molto più diffuso negli oceani profondi di quanto si pensasse in precedenza“, ha spiegato Sun.

Lo abbiamo identificato misurando la composizione isotopica del mercurio, che ha mostrato che il mercurio del fondo oceanico corrispondeva a quello dei pesci trovati a circa 400-600 m di profondità nel Pacifico centrale; parte di questo mercurio è prodotto naturalmente, ma è probabile che gran parte di esso provenga dall’attività umana“, spiega.

Secondo il professor Ken Rubin del Dipartimento di Scienze della Terra all’Università delle Hawaii, non coinvolto nello studio, “il mercurio viene introdotto nell’ambiente da una varietà di fonti naturali come eruzioni vulcaniche e incendi boschivi. Tuttavia, attività umane come i combustibili fossili, l’estrazione e la produzione di petrolio, sono i principali responsabili della deposizione di mercurio negli ambienti marini. Da questi due studi – continua – stiamo ora apprendendo che gli effetti di questa deposizione si sono diffusi in tutto l’oceano nel mare profondo e negli animali che vivono lì, che è un altro indicatore del profondo impatto delle moderne attività umane sul pianeta“, ha concluso.

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- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it