Published On: Ven, Mar 22nd, 2024

La missione Voyager 1 volge al termine

Per quasi cinque decenni, la Voyager 1 ha rappresentato un esempio straordinario di esplorazione nello spazio. Lanciata nel 1977 insieme alla sua controparte, Voyager 2, la navicella spaziale si trova attualmente a una distanza di oltre 24 miliardi di chilometri dalla Terra.
Durante il suo viaggio attraverso il sistema solare, la sonda ha inviato immagini sorprendenti dei pianeti, compresi i giganti gassosi, insieme alle loro lune. Una delle sue immagini più iconiche è stata definita da Carl Sagan come il “pallido punto blu”, ritraente la Terra da una distanza di 6 miliardi di miglia nel 1990.
Tuttavia, il futuro della Voyager 1 è incerto. Dal mese di dicembre, la navicella spaziale ha riscontrato problemi di comunicazione, inviando messaggi non comprensibili verso la Terra, mentre gli ingegneri stanno cercando di risolvere la situazione.

DAGLI ALBORI AI GIORNI NOSTRI

Fran Bagenal, uno scienziato planetario presso il Laboratorio di fisica atmosferica e spaziale (LASP) dell’Università del Colorado a Boulder, ha lavorato sulla missione Voyager fin dagli anni ’70, seguendo da vicino entrambe le sonde.
La sonda, spiega lo scienziato, è dotata di una comunicazione di 40 bit al secondo con un tempo tra andata e ritorno di 45 ore. Un sistema ormai obsoleto che nessuno si aspettava potesse dare ancora soddisfazioni. All’inizio si utilizzavano le schede perforate, con dati su nastri magnetici e stampe su bobine di carta. Tuttavia, lungo il suo lungo viaggio la tecnologia è divenuta sempre più sofisticata. Al suo arrivo nei pressi di Nettuno nel 1989 i computer erano ormai più efficienti e la NASA potè presentare le immagini live in tutto il mondo attraverso una prima versione di internet.
Le foto dell’epoca lasciavano scienziati e grande pubblico sbalorditi, spiega Bagenal. Erano le prime immagini ravvicinate di alta qualità dei quattro pianeti giganti gassosi e delle loro lune.

Le nubi bianche e arancioni di ammoniaca di Giove e Saturno, ad esempio, furono violentemente spazzate via da forti venti, mentre i sistemi meteorologici più miti di Urano e Nettuno furono nascosti e colorati di blu dal metano atmosferico. Ma le scoperte più drammatiche furono i molteplici mondi distinti delle diverse lune, dal craterico Callisto al vulcanico Io, dal nebuloso Titano fino ai pennacchi in eruzione su Tritone.

IL PASSAGGIO NEI PRESSI DI URANO

Prima delle missioni Voyager non sapevamo se Urano avesse un campo magnetico. Quando siamo arrivati, abbiamo scoperto che Urano ha un campo magnetico fortemente inclinato rispetto alla rotazione del pianeta. Giove, Saturno e Nettuno emettono molto calore dall’interno, si illuminano agli infrarossi ed emettono due volte e mezzo più energia di quella che ricevono dal sole. Tutto questo e molto altro è stato possibile saperlo attraverso queste due meravigliose sonde.
Per Urano le cose stanno diversamente: è molto probabile che alla fine della formazione del sistema solare, miliardi di anni fa, qualche grande oggetto colpì il pianeta, rovesciandolo su un fianco e dissipando il calore. Forse questo ha portato ad un campo magnetico irregolare.

LA MISSIONE VOLGE AL TERMINE

La missione potrebbe volgere al termine. Segno inequivocabile del tempo che passa e della sua distanza che aumenta. Già, perché la Voyager è ora nell’eliopausa, il confine presso il quale il vento solare emesso dal nostro Sole è fermato dal mezzo interstellare. “Prima o poi dovrà accadere, ma nessuno avrebbe mai pensato che nel 2024 stessimo qui a comunicare con la sonda“, spiega lo scienziato. Tuttavia, la Voyager ha soltanto pochi strumenti funzionanti, non si potrà andare avanti ancora per molto. Ma quel giorno, non appena ci dovremo arrendere, le prime parole che ognuno di noi penserà, saranno: “grazie Voyager, lavoro straordinario! Ben fatto!“, conclude Bagenal.

About the Author

- Giornalista scientifico, iscritto all'ordine nazionale dal 2013, si occupa di cronaca scientifica dal 2011, anno di inizio del praticantato. Dal 2007 al 2014 ha condotto degli studi mesoclimatici sui raffreddamenti radiativi delle doline di origine carsica e sull’esondazione del cold air pool. Contatti: renato.sansone@geomagazine.it